In Cina si è diffuso il noto “coronavirus” che ha impattato sull’economia del Paese. Quando l’economia cambia bruscamente ci sono degli effetti sugli usi e costumi della popolazione palesi. In particolare il mercato della formazione e del lavoro sono stati coinvolti prepotentemente e hanno tentato di minimizzare le perdite con metodi già esistenti me estesi ad una platea di utenti più ampia.
Premettendo che la situazione attuale è in una fase di studio da parte degli addetti ai lavori (scienziati specialistici), in cui non c’è nessun bisogno di diffondere allarmismi inutili.

Anzi in questa sede critico i titoli dei giornali che hanno volutamente spinto con titoli sensazionalistici e clickbait (fatti per ottenere click anche in modo fuorviante). Titoli spesso fortemente ridimensionati andando poi ad approfondire la notizia nello stesso articolo.

Senza entrare nei dettagli su tassi mortalità (indici demografici ed immunologici) possiamo spingere verso una serenità legati ai fatti e non le speculazioni comunicative.
Infatti “la mortalità complessiva riguarda invece la mortalità rispetto alla popolazione in generale e chiaramente è bassa, più bassa dell’influenza, ma attenzione, questo avviene perché l’epidemia è stata circoscritta” (qui).
Quello che ha senso è ascoltare le indicazioni degli esperti relative ad alcune modifiche alle nostre abitudini a scopo preventivo. Lavarsi le mani ed starnutire nel gomito ecc.

Ripensare il mondo del lavoro e della formazione con modalità in remoto

Così come il nostro modo di vivere la quotidianità muta, lo stesso potrebbe avvenire anche ad altri due settore più legati al mondo delle imprese: formazione e lavoro a distanza per prevenire la diffusione del coronavirus e non bloccare totalmente un mercato già incerto. In sostanza cercare di reagire alle nuove problematiche esterne, cambiando alcune strategie interne utili al proprio business.

Questo articolo è una descrizione di come sia possibile pensare a lavorare e/o studiare a distanza, superando delle barriere che spesso sono solo pregiudizi culturali tipici dell’Italia. Il nostro Paese infatti porta avanti da decadi una cultura di chiusura verso l’innovazione, basata spesso su pregiudizi più che opinioni basate su studi e fatti.

La tecnologia in remoto per la formazione funziona ed è rodata. Infatti in Cina si è utilizzata in modo massiccio. Infatti “in Cina sono tornati a scuola 180 milioni di studenti cinesi. Ma visto che le scuole sono chiuse, sono tornati a scuola online.” (qui)

La mia provocazione è: dobbiamo aspettare una nuova ondata di colera o rendere l’aria irrespirabile per pensare di usare queste soluzioni digitali e moderne?

Lo smart working è una innovazione sì, ma di ieri, che in moltissimi casi italiani è già consolidata, prima ancora che fosse stata promulgata la legge maggio 81 del 2017.
“In quanto, il diritto del lavoro è il riflesso dei mutamenti del contesto socio-economico e di conseguenza lo scenario normativo , risentendone e riadattandosi ad essi, da un proprio contributo rispetto ai cambiamenti che accadono” (qui).

La crisi economica, al pari passo del rischio legato alla non sopravvivenza per perdita di competitività, pesa nella determinazione influisce sulle decisione delle strategie per evitare la chiusura in pochi anni.

“La via, anche derivante dalle esperienze europee, è stata quella della flessibilità che consistesse nel fatto che affianco a una disciplina normativa piuttosto pesante si creasse un modello della disciplina più snello e adattabile alle circostanze contingenti, ossia “agile”, in grado di assecondare uno sviluppo dinamico del diritto del lavoro.” (qui). Nel caso specifico questa volontà di flessibilità ci aiuta ad adattare lo strumento a seconda del caso e delle necessità aziendali.

Ed è così che si sviluppa l’idea di un modello di disciplina che preveda la partecipazione consapevole e responsabile dei lavoratori all’impresa, le cui istanze, in una prospettiva di tipo partecipativo, si incrociano con quelle dei lavoratori. Di conseguenza l’intento della legge muove i propri passi dal lavoro alla persona e con ciò cambia pure lo scenario nel quale si implementano gli interventi di protezione dal momento in cui si privilegia il mercato e tutto ciò che possa incidere positivamente, anche in contesti di crisi.

In un contesto di gravi difficoltà organizzative, potrebbe essere utile adottare modelli a distanza sia per formare che per far lavorare il proprio personale in modo tale che ci sia la possibilità di mantenere operative le aziende e responsabilizzare il personale diffondendo anche materiale informativo su usi ed abitudini da adottare per prevenire.

Approccio umano centrico nelle strategie HR

Sarà pure folle, ma vogliamo provare a vedere in questa situazione così particolarmente temuta una sfida ed occasione di crescita per le aziende e i lavoratori. Nei momenti di difficoltà l’essere umano mostra il suo potere di cooperare e superare le avversità.

I virus ci ricordano che l’essere umano è uno, non importa il colore, la religione, il suo reddito, noi siamo una sola razza. Una lezione di inclusività che in Italia ancora non abbiamo del tutto assorbito. In questi momenti dobbiamo recuperare la nostra umanità e cooperare per andare a ripensare noi stessi e la nostra società, per superare gli ostacoli e contenere i danni.
Sono certo che aziende italiane siano pronte e auguro il meglio a tutti i colleghi delle zone in quarantena e lavoratori affinché possano sperimentare il lavoro e formazione a distanza tentando di trarre qualcosa di utile da spiacevole esperienza.

Potrebbe questo stato emozionale del mercato dare un colpo definitivo a quella sacca di resistenza è particolarmente presente nelle PMI e settori della vecchia economia che non hanno il coraggio di innovare? Servirà a capire che se sfruttano l’eredità del passato senza innovarsi tra 10 anni avranno chiuso? Potrebbe essere una difficoltà che possa diventare uno stimolo al cambiamento.
Ci ritroviamo in una situazione in cui vi è un fenomeno esterno che impatta in modo diretto la quotidianità delle persone e il loro spazio di libertà (spazio delle capability) degli italiani e sulle abitudini delle persone. Questa necessità potrebbe essere assolta dall’uso più massiccio e della tecnologia in remoto, innovazione dei prodotti e dei modelli di organizzazione del lavoro.
Ogni intervento deve essere tarato sulle esigenze del personale e mai imposto. Altrimenti ci possono essere effetti collaterali nella produttività della persona che vive come “una azione su di lei” e non “per lei”.

Il coronavirus terrorizza il mondo, ma consente anche il più grande esperimento di tele-levoro mai realizzato prima. Ha di fatto aperto nuovi scenari sulle modalità adottabili per il lavoro in futuro. Ed anche in Italia la novità non passa inosservata.

Da tempo il sociologo De Masi sostiene lo smart working, tanto da aver creato addirittura una società (40 anni fa) per promuoverlo, la SIT (Società italiana telelavoro).

Del resto, stando a Eurostat, l’Italia resta sotto la media europea quanto a utilizzo dei vantaggi offerti dalla tecnologia. In parole povere non riusciamo a staccarci dall’idea che per lavorare occorre spostarci da casa.

“In quanto il pompiere deve correre dov’è l’incendio e il chirurgo deve stare in sala operatoria, ma viviamo in un’epoca in cui la maggior parte dei lavori potrebbe facilmente essere svolta da remoto.”(qui)
In un’economia dove praticamente è quasi tutto terziario e terziarizzato il business. Sono moltissimi i lavori che si possono fare a distanza tra cui tutti quelli di ufficio e che prevedono l’uso di un pc e internet come principale mezzo di lavoro. Il problema è più culturale che operativo.

Mentalità avversa al lavoro a distanza o smart working pure in casi di emergenza?

La mentalità avversa accomuna alcuni datori di lavoro e i manager, preoccupati dal fatto che lo smart working impedisca il controllo del lavoratore momento per momento, consentendo solo di esaminare il risultato finale. Nel telelavoro e ancora di più con lo smart working, però, non conta il processo, conta l’obiettivo ! Ovvero che il lavoratore porti a termine il suo compito nel migliore dei modi, rispettando i KPI.

E i vantaggi sono innumerevoli. In primo luogo lavorando da casa non si spreca tempo, né soldi per la benzina, e diminuisce la possibilità di incorrere in incidenti. La città è più libera, meno inquinata e si riduce il traffico, così come la probabilità di alimentare la creazione di luoghi con forte concentrazione di persone (metropolitane, uffici, mensa ecc.)

Ma non ci sono benefici solo per i lavoratori o l’ambiente. Anche le aziende ci guadagnano. Se i loro dipendenti lavorano da remoto, non hanno bisogno di affittare grossi spazi, di sprecare aria condizionata e di allestire mense, dovendo adibire i locali aziendali in funzione dei lavoratori. Il welfare aziendale non si implementa solo con i buoni pasto o con la mensa! Inoltre in questa fase specifica permetterebbe anche proprio il lavoro in quelle zone a stretto controllo sanitario.

Ed anche alcune obiezioni sollevate sulle conseguenze psicologiche risultano spesso populiste. Si può lavorare in tutta tranquillità senza perdite di tempo dovute ai discorsi inutili e si può scendere al bar sotto casa per un caffè e parlare con gli altri e cercare di combattere in un tale periodo il rischio di isolamento legato all’aumento di smart working, cercando di avere una vita socialmente più intensa e più ricca, in alternativa al coworking. Lasciate scegliere ai vostri dipendenti se la ritengono una pratica utile per se stessi e poi misurate la loro responsabilità, senza avere pregiudizi che alimentano inutile disfattismo anti-economico.

“Se è vero, dunque, che l’enorme successo del telelavoro in Cina passa per il problema del coronavirus, in altri Paesi si sta comunque affermando velocemente. In Italia invece siamo in retroguardia. Siamo fermi al 3 per cento ,spiega Domenico De Masi su HP, mentre un Paese come l’Olanda si attesta sul 40 per cento. La tendenza allo smart working comunque sembra destinata a svilupparsi anche nel nostro mondo del lavoro.” (qui)

Dunque, è necessario lasciarsi andare al cambiamento, credere in una società in cui lavorare da remoto non venga più visto come un lusso o come un benefit di cui usufruirne, per chissà quale risultato della business line o chissà quale fortuna una volta al mese e chi lavora da casa non venga più giudicato un fannullone o mal giudicato!
Auguriamo che questo sistema venga implementato sia nelle aziende private che pubbliche. Magari una futura direttrice di questa modalità di lavoro potrà essere collegata a sistemi già esistenti come quello della Legge 5 febbraio 1992, n. 104. Questa esperienza potrebbe portare a qualche analisi e studio specifico in tal senso.