Negli Stati Uniti la riproduzione di famosi brani musicali viene usata dalla Polizia sempre più spesso durante manifestazioni di protesta. Lo scopo di tale azione è evitare la pubblicazione on-line della registrazione dei fatti confidando nel controllo algoritmico sui diritti d’autore.

Quando si tratta di temi delicati basta poco per spostare l’attenzione dei media sul perché l’algoritmo abbia fatto o meno il proprio lavoro. A quel punto poco importa se la polizia abbia reagito in modo scomposto o la manifestazione sia stata una rivoluzione armata. Il problema diventa quasi automaticamente: “Quel video in quel contesto andava pubblicato oppure no?”

 

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L’utilizzo dell’imperfezione algoritmica per mitigare o amplificare un accadimento non riguarda solo le forze dell’ordine. Soprattutto ai tempi del Covid19 la società è in continuo e veloce divenire. Il rischio che si possano scaricare responsabilità su qualcosa di non immediatamente tangibile come algoritmi ed intelligenza artificiale è molto alto. Nessun settore o categoria è esclusa.

 

Molti conoscono la frase: “fatta la legge, trovato l’inganno”. Dovremmo iniziare a rimodulare la frase: “noto l’algoritmo, trovato il modo per utilizzarlo a proprio vantaggio.”

Non sembrerebbe esserci nulla di male nella seconda frase se non fosse per il fatto che le prove digitali hanno acquisito una valenza fondamentale nei procedimenti civili e penali.

 

Nel caso di specie è utile sottolineare che la tutela del diritto d’autore e relativa applicazione nella maggioranza dei casi viene adoperata da privati per tutelare interessi economici e finanziari. Youtube e Facebook sono esempi concreti. Sempre più spesso i colossi del digitale hanno maggiori informazioni di qualsiasi sistema di intelligence esistente. Inoltre anche l’analisi dei contenuti,  che va oltre quella degli algoritmi richiede un lavoro umano di grande spessore, intensità, quantità e qualità.

 

A questo punto è d’obbligo porsi alcuni quesiti:

  • Siamo pronti per tutto questo?
  • Spostiamo i processi sui Social?
  • In mancanza di prove digitali invochiamo l’insufficienza di prove?
  • Facciamo finta che il mondo digitale non esista?

Anche fornendo una o più risposte a queste domande provocatorie non si colma la lacuna legale relativa all’intenzionalità di utilizzare il comportamento noto degli algoritmi per compiere o meno una determinata azione. La consapevolezza probabilistica della non diffusione di un evento può condizionare in modo conscio o inconscio il modus operandi di organi di polizia, legislatori, politici, magistrati e di tutte quelle categorie di persone che operano in nome e per conto del proprio Paese e dei cittadini.

Ecco che torna alla frase più gettonata ed inflazionata relativa all’utilizzo delle tecnologie digitali: “Il digitale deve essere guidato da etica e buonsenso.”

Siamo tutti d’accordo, tuttavia quando ci imbattiamo in casi concreti quello che caratterizza l’efficacia della tecnologia digitale è la capacità che gli viene concessa in un contesto di agire ex ante o post hoc.

Prima di capire se si è in presenza di un sofisma o meno, la mole di informazioni e persone mobilitate esercita una pressione tale da influenzare nel bene e nel male qualsiasi giudizio.

 

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Algoritmi: nuovi capri espiatori universali del ventunesimo secolo?

 

Pasquale Aiello
Senior Intelligence Analyst, Digital Humanist, Senior Data Scientist
Presidente dell’ Ente Nazionale per la Trasformazione Digitale