Ci si dovrebbe chiedere se esistano delle alternative alla classe dirigente con mentalità padronale. Sicuramente si possono avviare processi alternativi ed integrativi a quelli attuali. Che significa però? Sicuramente bisogna superare lo logiche di antagonismo, “Noi contro loro” ecc. Bisogna capire che molti manager possono cambiare opinione e andare a migliorarsi. Non bisogna “buttare le persone a mare”, ma recuperarle e formarle, superando con lo studio i numerosi bias cognitivi di alcuni esponenti delle classi dirigenti.

Il manager del presente invece deve essere aperto mentalmente al confronto con i propri collaboratori e le altre aziende. Il confronto con il mercato e le risorse umane è fonte di ispirazione e comprensione delle dinamiche del mercato stesso da vari punti di vista.

Il confronto e la diversità oggi sono valori aggiunti fondamentali.

Quando imprenditori della stessa categoria hanno il coraggio di mostrare le proprie fragilità si accorgono che sono molto simili tra loro. Linkedin sotto questo punto di vista è sicuramente un facilitatore, come tutti i social, forum, conferenze tematiche.

Superiamo questa visione del manager come oltre-uomo che deve sempre mostrarsi forte, sicuro di sè e che sa perfettamente quello che succede. Non ha senso oggi! Se io sto facendo un qualcosa che non è mai stato fatto in azienda, nuovo ed innovativo, ma come faccio a riuscire al primo colpo? Bisogna superare la mitizzazione della figura dell’imprenditore che ricalca molto quella del maschi alpha degli anni 70 italiano. Interpretare in questo modo il ruolo di dirigente fa solo del male alle aziende ad essere così perchè creiamo inefficienza e distanza da chi i problemi li può tentare di risolvere: i dipendenti dell’azienda stessa.

Passaggio epocale che può ripensare la storia industriale ed economica italiana sarà pensare in modo più italiano. L’italianità come valore aggiunto, credere e vivere davvero nel “Sistema-Paese”.

are rete significa davvero capire che la concorrenza non sia a 30km, ma oltre-oceano. Va anche bene essere piccoli di dimensione, ma bisogna fare rete e creare sinergia tra le aziende. Piccoli sì, ma anche in una rete di aziende ampia e con valori e missioni comuni! Ripensare le aziende in un ottica di collaborazione, perchè si sta facendo qualcosa anche di etico, aiuta molto a creare un collante imprenditoriale interessante. Non dobbiamo lavorare solo perchè ci arricchiamo entrambi, perchè possiamo realizzare qualcosa che ha ricadute etiche e sociali positive insieme.

Cerchiamo di fare network e avviare collaborazioni e creare i famosi distretti industriali. Il modello funziona e si adatta moltissimo al mercato attuale. Dobbiamo iniziare a considerare i territori per quello che sono realmente… piccoli e vicini! Immaginare Napoli e Roma come due zone separate non ha minimamente senso se in Cina un’ora di treno è una metropolitana. Tutte le città di una regione devono ragionare in modo sistemico e coordinato, lo stesso deve valere per una azienda. La smaterializzazione dei prodotti permette di lavorare fianco al fianco totalmente in remoto. Napoli e Milano non sono mai state così vicino nella storia, come anche Roma e Vicenza.

Perchè però queste nuove gestioni più empatiche, etiche e di responsabilizzazione aiutano il business?

Il motivo è semplice “Numerosi studi affermano che i leader non contribuiscono per più del 20%, in media, al successo dell’impresa, mentre i dipendenti sono l’elemento critico per il restante 80% ” (qui).

Se ci pensa non è così strano. In un contesto di mercato dove il lavoro è sempre più terziarizzato (in pratica conta quasi solo questo nei PIL dei Paesi rilevanti) e smaterializzato, tutti possono comprare un software e macchinari ma chi li utilizza crea il vero valore aggiunto.

Il manager deve essere prima di tutto uno studioso che cerca di capire il mercato e si confronta con tutto il proprio team affidandogli responsabilità. Questa è una parola essenziale.

In pratica le aziende italiane ad oggi stanno attuando processi inefficienti perché “ignorano” quasi tutti propri dipendenti nelle scelte sia di definizione strategica sia operativa e non sfruttano il loro vero know how.

Questo oltre a rendere meno competitive le aziende stesse, le espone pure pubblicamente perché le aziende sono nude. Il danno e la beffa dell’inefficienza italiana imprenditoriale che si ostina a portare avanti modelli del secolo scorso che oggi sono dannosi ed anti-economici.

Superiamo dunque la visione del manager come semi-dio e creiamo uomini responsabili ed aperti che introducano nelle proprie aziende la cultura della sperimentazione che si distanzia da quella del fallimento!

Non serve a nulla trovare colpevoli, bisogna capire cosa non sia andato. Quando fai qualcosa per la prima volta, sicuramente sbaglierai, non c’è dubbio. Il problema è la gestione dei problemi se li vivi come un fallimento non andrai lontano, ma se li analizzi come incidenti calcolati e come fonte di dati e spunti per ricalibrare di nuovo la strategia allora sono perfino necessari per ottenere gli obiettivi aziendali. Questo vale proprio come cultura aziendale.

Quando un dipendente o collaboratore sbaglia ci siamo mai chiesti cosa sia successo e il perché? Prima di colpevolizzarlo ed “aggredirlo”, tipica della cultura del “trovare un colpevole e fare scarica barile”, ci siamo mai chiesti:

1 “che cosa non abbia funzionato?

2 Era nelle condizioni di realizzare l’obiettivo?

3 Io come avrei potuto metterlo nelle condizioni di raggiungerlo?

4 La persona è formata sufficientemente?”.

Trovare i colpevoli non significa lavorare sulla soluzione del problema. In questo caso l’assumersi la responsabilità del manager rispondendo alle domande che lo coinvolgono pongono le basi per risolvere il problema. Capire cosa abbia causato il problema, no chi e poter in questo modo proporre delle soluzione al problema. Se il focus è su chi ha sbagliato, non avrai una risposta a come risolvere. Se la domanda è “cosa non ha funzionato” la risposta è più utile e coerente agli scopi aziendali.

Oggi dunque non ci servono più “yes man”. Persone servili infatti che all’inizio facilitano i processi aziendali perchè li velocizzano, nel breve periodo. Poi però il pensiero acritico fa ingolfare il sistema, perchè non si innova e porta avanti pratiche sbagliate che non vengono corrette e crea nel medio e lungo termine ingenti danni alle aziende e la loro competitività.

Questo avviene perchè non si responsabilizzano le persone.

La visione di operativi e responsabili tende già fortemente ridursi, nelle aziende anche italiane più moderne. Ora, non tra 20 anni. Nel futuro non esisteranno più lavoratori totalmente operativi, tutti avranno degli strumenti di lavoro digitali a cui sono legati burocrazia e responsabilità (fosse anche il mantenimento delle strumentazioni stesse). Questo sistema più inclusivo e basato sui dati permette di lavorare e fare un focus sul problema italiano della meritocrazia.Creare degli indicatori misurati permette di premiare le perfomance migliori, perchè le si misura essenzialmente. Aspetto spesso ignorato dalla logica padronale che invece è accentratrice inefficiente di potere decisionale. L’Italia e le classi dirigenti sono state inefficienti e responsabili di un rallentamento strutturale della crescita del mercato che ha alimentato la notissima fuga dei cervelli. La scarsa attrattività è legata al permanere di alle vecchie logiche di management, tipo padronato citato, che non creano sistemi incentivanti e meritocratici. In questo modo viene depotenziato il capitale umano e si alimenta la demotivazione.

Degna fotografia della situazione ci viene dalla London School of Economics con McKinsey

” ha realizzato uno studio sulla gestione del personale nelle imprese italiane e in altri paesi industrializzati. Il nostro Paese mostra un modello di gestione del personale poco meritocratico e una pratica di gestione più attenta al prodotto/servizio che allo sviluppo delle persone; questi comportamenti si traducono in una produttività più bassa del 20% rispetto a quella delle principali potenze economiche mondiali. Questo divario, peraltro, tende ad allargarsi: mentre le aziende degli altri Paesi migliorano, le nostre peggiorano.

In Italia esiste ancora una “cultura dell’anziano” difficile da estirpare: il dipendente più anziano, indipendentemente dalle sue competenze, dalla sua istruzione e soprattutto dalla sua effettiva produttività, è spesso giudicato migliore o intoccabile soltanto in riferimento alla sua esperienza. Questo taglia le gambe o comunque agisce da freno a risorse umane più giovani e meno esperte, ma magari più competenti o più flessibili ed inclini all’innovazione.” (qui ).

Gli operativi come li immaginiamo con le categorie classiche del 900, oggi sono e saranno sempre di più le macchine, già esistono esperimenti di fabbriche senza operai o con una figura della “vecchia classe proletaria” più vicina ai supervisionatori o anche “badanti” delle macchine.

La rivoluzione industriale non è stata già scritta, rendercene conto adesso è una fortuna che pochi hanno avuto nella storia. Crea consapevolezza.