Il Coronavirus è soltanto il punto di partenza di una profonda rivoluzione industriale che costringerà le imprese a rivedere il core business; dovranno ripensare nuove modalità di lavoro. Se è vero che lo smart working rivoluziona il modo di lavorare non è altrettanto compreso dai manager il suo obiettivo: nuova filosofia della produzione. Il lavoro agile consente maggiore produttività ed efficienza, liberando velocemente risorse per l’impresa perché elimina le perdite di tempo. Se pensiamo che diventa una salvaguardia per l’ambiente possiamo comprendere come sia l’unica risposta adeguata per continuare a lavorare senza inquinare. Le città sono arrivate alla saturazione dei gas inquinanti comprese le polveri sottili; l’emergenza climatica è stata annunciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già nel giugno 2019. Quello che registriamo è l’assenza di provvedimenti ad hoc a beneficio dell’ambiente, mentre per l’emergenza sanitaria del Coronavirus si sono adottate misure rigide. Questo sbilanciamento della presa di coscienza delle due situazioni di emergenza lascia molto perplessi. L’ambiente è il luogo dove viviamo e se non viene tutelato possiamo rischiare la vita, al pari del Coronavirus. Questa importanza andrebbe valorizzata ed evidenziata proprio favorendo, con l’ausilio del digitale, le modalità di lavoro a impatto zero sull’ambiente e conseguentemente più efficienti per le imprese. «Vedo più coraggio nelle Istituzioni locali come i Comuni e le Regioni – commenta Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde – anziché molti governi nazionali che firmano tutti i proclami per evitare cambiamenti climatici catastrofici ma poi non approvano e attuano azioni coerenti. Negli ultimi anni sembra crescere la consapevolezza nella società civile, nel mondo universitario e perfino nelle imprese e nella finanza. La conoscenza dei rischi sempre più gravi del “non agire” ed anche delle opportunità offerte da tecnologie innovative e dai saperi tradizionali può aiutarci. Dobbiamo diffondere una cultura ambientale non solo accademica ma popolare, facendo divenire disdicevoli e socialmente negativi alcuni comportamenti nemici dell’ambiente e usando anche i social e non solo i convegni».

Francesco Fravolini