In questo periodo sto osservando con attenzione la narrativa distorta e allarmista che ho visto nel giornalismo italiano in senso ampio (televisione, giornali, social). Chi non ha le coordinate culturali adeguate per comprendere la reale portata del fenomeno è fortemente esposto all’ansia e il panico, senza mezzi termini.
Un fenomeno fortemente manifesto in forsennate corse ai supermercati non giustificate in alcun modo.”Coronavirus, la folle corsa (inutile) ai supermercati di tutta la Sicilia” (qui). Non è nemmeno un focolare.
Infodemia s. f. Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili (Treccani qui).
Le scene sono quasi ridicole e tragiche, pensare che l’ultima volta è stato per la guerra del Golfo, che non mi pare abbia portato “feriti” o “scenari di guerra eclatanti” nel nostro territorio peninsulare o isolano. “Nelle prime giornate di coronavirus conclamato sembra insomma emergere una certa ansia nei consumatori che riporta, nelle immagini, alle corse ai supermercati della guerra del Golfo.” (qui).
Non ho le competenze per entrare nel dettaglio del virus, però mi ha interessato notare alcuni aspetti sociali legati al coronavirus. La notissima virologa Ilaria Capua ha usato l’espressione Salute circolare. Nello specifico su Linkiesta ha dichiarato «Questa epidemia ha messo in luce come – cosa che sapevamo già – in questo mondo siamo tutti interconnessi», spiega.
Una questione che ci deve far « rivedere fin dalla base il nostro concetto di sano e di malato, e anche il nostro modo di affrontare la cura».
La virologa parla di una revisione della concetto di salute come salute circolare, sostenendo che viviamo in un ambiente chiuso e siamo una parte interna nel sistema della natura.
Sebbene abbiamo creduto di poterla dominare come uomini, noi siamo legati ai cicli della natura e da essa dipende la nostra esistenza di esseri viventi. Modificare in modo irresponsabile la natura ci danneggia direttamente ed indirettamente.
Dopo tutto noi viviamo con “gli scarti” delle piante o meglio conosciuto come Ossigeno, che ci serve per respirare e non abbiamo attualmente sostitutivi artificiali. Dunque non siamo avulsi dalla catena alimentare ecc.
Altro aspetto interessante di tipo sociale riguarda gli Stati. Per la prima volta questa crisi ha vinto il primato della condivisione delle informazioni, ossia i vari governi hanno collaborato tra di loro fornendo le proprie informazioni.
Se pensate che sia normale, siete assolutamente fuori strada e le relazioni internazionali hanno migliaia di casi in cui è prevalso l’interesse egoistico su quello collettivo.
Tale collaborazione di fatto “è una delle premesse fondamentali per sviluppare un sistema basato sulla salute circolare. E mi riferisco a una maxistruttura per condividere e studiare i Big Data. Servirà ad analizzare le variabili – ambientali e non solo – di tutto il ciclo della salute.” (qui).
In tal senso ben venga l’iniziativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanita su Kaggle per condividere i database con gli esperti (qui). Fondamentale l’uso dei dati per capire i fenomeno e magari anche per raccontarli in modo responsabile e contestualizzato, piuttosto che alimentare il panico come è stato fatto in Italia da alcune testate.
Come si tampona la mediocrità l’irresponsabilità di una parte dei giornalisti?
Mi piace pensare che in modo molto netto, gratuito e trasparente si possano attivare le logiche del mercato per combattere il fenomeno. Si tratta a tutti gli effetti di una distorsione nel mercato dell’intrattenimento e informazione.
Come si risolve? Ci si lamenta e boicotta il giornale.
In primis, lamentando la scarsezza di informazione su certe tematiche, la disonestà intellettuale di certi giornalisti. Si ok, ma in pratica? Lasciate recensioni sui loro social e commenti negativi sotto gli articoli. Aprite il loro sito e guardate chi siano i loro sponsor (chi ci mette i soldi per la pubblicità?).
Inondate queste aziende di email (o commenti nei social della pagina aziendale), in cui minacciate di non comprare i loro prodotti perché associano il loro marchio ad un giornale spazzatura (diffonde fake news, omofobo, razzista, negazionista,anti-semita, terrapiattista, diffusore di odio).
Per me leggere che una persona sia stata definita “super untore” britannico del coronavirus” (qui), ma il termine è ripreso da tantissime testate e basta fare una ricerca su Google, è veramente grave.
Quasi diffamatorio, perché la parola untore ha una forte connotazione negativa di tipo storico proprio in Italia. Treccani lo evidenzia “Chi unge, ungitore. In partic. si chiamarono untori coloro che nella peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio ungendo persone e cose (per es., le porte delle case, le panche delle chiese) con unguenti malefici; contro di essi si scatenò spesso l’ira popolare, e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie.” (qui).
Le parole hanno un peso, smettiamola di dimenticarlo.
Esercitare una pressione sui finanziatori di blogger e giornali allarmisti che speculano comunicativamente sull’epidemia
Il sistema di mercato attuale e dei prossimi anni, in cui etica e business sono sempre più interconnessi, dipende anche dal fatto che i consumatori e lavoratori stanno prendendo coscienza dei propri ruoli e si stia accorciando l’asimmetria informativa.
In pratica oggi tramite il sistema di recensioni possiamo farci un’idea e capire un prodotto come sia fatto, da dove provenga e l’opinione degli altri consumatori (leggendo articoli, blog, recensioni su piattaforme specifiche come ebay, amazon, tripavisor, booking, expedia, recensioni Google ecc.
Oggi possiamo saperlo anche delle aziende con Glassdoor, indeed, google recensioni troviamo proprio recensioni su questi temi, i colloqui, i salari, benefits, difficoltà colloqui e via discorrendo. Dunque i lavoratori sono più consapevoli dell’ambiente e opportunità che l’azienda offre verosimilmente.
I giornali sono aziende e i blogger anche, dunque attaccare i finanziatori significa metterle in discussione e tentare di calibrare le loro politiche aziendali. Più la pressione esercitata è massiccia più l’effetto voluto ha potenzialità di influenzare quell’attore sotto una pressione.
Si chiamano gruppi di pressione ed interesse (le famose lobby di cui molti parlano senza capire che siano, alimentando ormai trite e ritrite fake news e deliri illogici e contraddittori vari).
Truman lo definisce così nel 1951 “‘gruppo d’interesse’ si riferisce a ogni gruppo che, sulla base di uno o più atteggiamenti condivisi, reclama da altri gruppi della società l’instaurazione, il mantenimento o l’accrescimento di forme di comportamento che sono in relazione con gli atteggiamenti condivisi” (qui). Un segreto di pulcinella che solo in Italia non è ancora ben chiaro.
Da un’altro punto di vista credo che questo evento possa anche far riflettere ogni persona sul peso delle parole e il senso di responsabilità civica quando si scrivono o postano informazioni pubbliche (immagini, video, articoli, post, commenti ecc.).
Questa lezione può essere generalizzata ad un ragionamento più ampio e che riguarda anche proprio l’aggressività che c’è sui social che fa danni e ormai anche palesati.
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