Nei momenti di crisi emergono le opportunità. Abbandonarsi al fatalismo e il lamento continuo non aiuta a migliorare la sorte di nessuno. Bisogna cambiare le aziende, ma perchè farlo?

Il triste ritardo culturale italiano che ammazza l’economia

Io credo che il mercato sia cambiato moltissimo negli ultimi 15 anni. Non a casa viviamo in una rivoluzione industriale (industria 4.0).
Solo gli italiani sembrano non rendersene conto. Questo evento ha mutato la percezione degli attori economici (imprese, lavoratori, istituzioni, associazioni di categoria) e ci sono delle nuove esigenze che stravolgono le abitudini quotidiane e concrete delle persone.

Un’analisi del mercato onesta intellettualmente dovrebbe far ripensare l’organizzazione delle aziende, portando avanti logiche innovative (ma nemmeno tanto ad essere onesti) tipo il lavoro in remoto, modelli circolari (lean, agile ecc.) e in generale la responsabilizzazione del personale.

Una volta mi confrontai con un imprenditore nel settore abbigliamento e gli chiesi negli ultimi 5 anni quali fossero le “innovazioni” che aveva introdotto. Mi ha risposto “conta persone, pistola nuova per le bolle, e-commerce”. Noi viviamo la fase delle smart siti, internet delle cose (internet of things), intelligenza artificiale, blockchain, machine learning ecc. ecc. e la cosa più innovativa è avere un e-commerce? Anche Ebay è sostanzialmente e-commerce ed in Italia è arrivato nel 2001.

Ho raccontato questo episodio di vita professionale non per deridere la persona, ma per mostrare nei fatti cosa significhi ritardo culturale imprenditoriale e manageriale. Pochissime aziende si salvano.

Tutta questa necessità di cambiare deriva dal virus più noto del momento? No, questa operazione andava già fatta almeno 5 anni fa, siamo in ritardo culturale rispetto al resto dei Paesi. Chi ha viaggiato fuori se ne rende conto in modo netto.
Sono petulante su questo tema, ma prima lo si capisce più aziende possiamo salvare da un declino quasi sicuro.

Opportunità per HR e Manager di invertire la tendenza

Sicuramente gli HR e manager devono assumersi la responsabilità di assicurare un ambiente di lavoro sano e produttivo, sono pagati per questo visto che tali fattori sono essenziali nel creare quel valore aggiunto che poi si traduce in fatturato. Non dare oggi lo smart working per logiche di possesso è patetico. Vuol dire che tu manager o HR non sai fare il tuo mestiere. Dovresti trainare l’innovazione per migliorare le prestazioni aziendali ed il fatturato, invece di chiuderti in masturbazioni ideologiche figli di un’ansia distruttiva. Le persone serie e professionali sono quelle che si fidano degli altri ed hanno un team che supporta il management. Le logiche da “bullo” degli anni 70 sono ridicole ed immediatamente dannosa sia per l’azienda che ha perdite ingenti sia per la motivazione e produttività del dipendete stesso. Essere padroni ha un significato ben preciso, non è uno slogan degli anni 70. Qui facciamo riferimento a modelli organizzativi aziendali figli di una cultura gerarchica, padronale e di scaricabarile (qui per approfondire bene il tema).

Questa logica padronale era fallimentare ieri, ma oggi con l’evoluzione del mercato legata alla questione cinese (virus, guerra dei dazi ecc.) può diventare pericolosamente peggiore. Rischiare la chiusura in modo molto più rapido. Non un crollo, ma solo un’accelerazione di un trend già incline al fallimento nei prossimi 5 – 10 anni (qualora non si innovi significativamente).
Questo significa dare queste possibilità all’improvviso e senza nessun tipo di pianificazione? No, quello è un suicidio economico. Significa riflettere sulle recenti evoluzioni e decidere di attuare un piano di innovazione dei modelli organizzativi.

La solita frase per cui gli Hr si occupano di risorse e che queste risorse sia questo investimento così rilevante, lo vedo veramente poco aderente a moltissime realtà anche grandi e multinazionali, non solo la PMI.

Ci sono le eccezioni, ma non sono importanti numericamente, per motivi di gravità del problema, qui un mio articolo. Se pure fossero poche, comunque le lasciamo ad un destino certo: il fallimento.

Non credo che ci siano molti margini di manovra: tratti male i dipendenti, sei scettico circa la tecnologia, non innovi, non usi un approccio basato sui dati e gli studi ecc. a breve chiuderai (5-10 anni massimo). Semplicistico, ma parecchio aderente alla realtà.

Il mercato ti punisce, perché non hai un approccio flessibile manageriale al mercato, quello del lavoro in primis. Si aprono nuove sfide, opportunità e tu decidi di chiuderti in te stesso perchè credi di aver trovato la formula magica che valga per sempre. Intanto il mondo va avanti, emergono nuove problematiche e tu imprenditore medio italiano che fai? Offri sempre le stesse risposte che già davi 50 anni fa.

Davvero difficile capire quale sia il tuo destino economico nei prossimi anni, ci vogliono 12 lauree in ingegneria e matematica finanziaria con modelli di previsionali di forecasting avanzatissimi. Scusate l’ironia, ma il tema è tragico.

Attaccare il “abbiamo fatto sempre così” con alternative basate sui dati

Il tema è scottante. Credo che laddove vi siano colleghi delle risorse umane, la colpa è anche nostra: non abbiamo avuto il coraggio di mettere in discussione le idee del Boss (uso il termine inglese, di Capo, perché essendo spesso legato ad una connotazione mafiosa rende meglio l’idea dell’accentramento del potere e il non ascoltare i dipendenti, quasi fossero piccoli monarchi assoluti).

Gli yes man stanno danneggiando le aziende dall’interno creando piccoli harem del potere padronale, in cui i manager e capi se la ridono e cantano da soli senza vedere che il mercato gli sta voltando le spalle. Intanto le aziende vanno sempre più facilmente in crisi che sono strutturali e non legate al singolo momento. Poi ci si domanda come mai aziende solide, in soli 4 anni sono colate a picco.

L’HR dovrebbe prima di tutto essere strategico, questo lo si fa però se si supportano con i dati le scelte. Il problema è che spesso non abbiamo un approccio consulenziale verso il management italiano che attua modelli anti-economici, che fanno proprio danno al fatturato. Dobbiamo avere il coraggio di pretendere di più, la vera gestione del personale. Superando quella logica della sola amministrazione.
Inoltre dobbiamo anche digitalizzare i processi per rendere tutto più funzionale. Dobbiamo pretendere di essere il motore del cambiamento. Dobbiamo diventare un martello pneumatico che alimenta processi di change management, ma bisogna applicare gli studi e elevare gli standard di gestione del personale. Qualcuno sa cosa siano le politiche salariali? Iniziamo a rompere la piattezza dei salari, non è giusto che tutti guadagnino uguale a priori dei meriti che hanno o meno. Il concetto di uguaglianza deve essere nella partenza, non nei risultati altrimenti affondiamo la meritocrazia. Problema che realmente esiste in Italia.

Meritocrazia in Italia: come siamo messi?

Teniamo presente due elementi essenziali: quanto conta un leader, quanto siamo meritocratici.

Circa il primo punto : “Numerosi studi affermano che i leader non contribuiscono per più del 20%, in media, al successo dell’impresa, mentre i dipendenti sono l’elemento critico per il restante 80% “. (qui)

Circa il secondo: “Il nostro Paese mostra un modello di gestione del personale poco meritocratico e una pratica di gestione più attenta al prodotto/servizio che allo sviluppo delle persone; questi comportamenti si traducono in una produttività più bassa del 20% rispetto a quella delle principali potenze economiche mondiali. Questo divario, peraltro, tende ad allargarsi: mentre le aziende degli altri Paesi migliorano, le nostre peggiorano.” (qui)

La meritocrazia è scarsa secondo me per due motivi che sono connessi tra loro. Da una parte non c’è l’abitudine di misurare le perfomance, quindi i manager non hanno realmente idea di chi sia migliori nei risultati. Dall’altra c’è un problema culturale “In Italia esiste ancora una “cultura dell’anziano” difficile da estirpare: il dipendente più anziano, indipendentemente dalle sue competenze, dalla sua istruzione e soprattutto dalla sua effettiva produttività, è spesso giudicato migliore o intoccabile soltanto in riferimento alla sua esperienza.
Questo taglia le gambe o comunque agisce da freno a risorse umane più giovani e meno esperte, ma magari più competenti o più flessibili ed inclini all’innovazione.” (qui) .

In Italia spesso emergono delle vere e proprie distorsioni del mercato che rallentano la crescita. L’effetto di come noi interpretiamo il ruolo di manager o HR è davvero importante per il sistema Paese, ma molti sembrano averlo dimenticato.

Una gestione manageriale basata sui vantaggi collaborativi

Il prof Danilo Verga nei suoi studi e anni di esperienza come consulente ha sottolineato come si debbano applicare logiche di management collaborative e non più quello competitivo (qui per approfondire). Quella è la direzione che dobbiamo seguire, introdurre ed alimentare di cambiamento. Data driven! Approccio basato sullo studio dei dati per vagliare le ipotesi. Le scelte possono essere cambiate se si misurano i problemi per capire. Siamo la patria di Galileo o no? Il metodo l’ha introdotto lui nella cultura (insieme ad altri importanti autori).

Andare ad introdurre elementi di management collaborative e non più competitive è una cosa che deve partire dalle aziende e noi Hr e i decision maker. Tuttavia ogni lavoratore ha il potere in questo contesto e questo deve anche essere da sottolineare la necessità di cambiare.
Bisogna esercitare pressioni sui decisori ed alimentare una cultura dell’innovazione. Le persone cambiano idea spesso perchè tutti attorno a loro cambiano idee o iniziano a trattare un determinato tema. Si chiama emulazione. L’essere umano in parte ha imparato a relazionarsi così, fin da piccolo.

Noi HR poi nello specifico abbiamo una responsabilità morale e sociale per il ruolo che abbiamo assunto e gli studi tecnici proprio su questa materia. Un esempio riguarda la discriminazione la quale viene eseguita da noi, perchè si accetta di tutto e non si inizia a dire questa cosa non si può fare perchè è illegale cercare una persona in base all’età o la residenza. Sappiamo anche economicamente è una follia, visto che riduce il numero di candidature nettamente, questo porta ad una riduzione significativa di risorse davvero eccellenti che avrebbero potuto portare know how ed idee innovative.

Noi dobbiamo andare ad intervenire su questo problema alimentando il discorso, parlando, facendo network, confrontandoci sulle best pratice. La logica di concorrenza “spietata e paranoica” (non quella sana) è ormai stupida economicamente in quanto sconveniente. Infatti bisogna alimentare al contrario collaborazioni per andare a formare piccoli distretti che se in Italia riescono a formarsi sono fortemente competitivi e ci sono anche. Ragionare come se Napoli fosse un’entità a sè da Roma è ridicolo, perchè se si collaborasse il settore IT potrebbe fare un bel salto di qualità. Un’ora di treno per un cinese è una metropolitana praticamente.

Noi abbiamo sufficiente know how nel tessuto socio-economico? Il fenomeno delle logiche padronali è fortemente presente il alcune aziende e la dimensione è relativamente irrilevante. Secondo me il problema è impattato anche da problemi nel sistema formativo di alcune classi dirigenti che dovrebbero formarsi e implementare modelli digitali.

Noi Hr dovremmo essere figure ponte (intermediari) che stimolano i decisori in una modo diverso di vedere le aziende usando un approccio con gli occhi al mercato! Italiano ed internazionale insieme, ben rodato e basato sui dati.

La tecnologia è utile proprio nella correzione di una delle distorsioni di cui parlavamo. Ma se hai un pregiudizio e non la usi correttamente, che fai a fare impresa? La tecnologia serve a realizzare i tuoi sogni imprenditoriali e rilanciare il progetto periodicamente.