Negli ultimi tempi si sente parlare spesso dello smart working, trattato come una modalità di lavoro a distanza da utilizzare durante questa fase emergenziale legata al coronavirus. Questo fenomeno pone delle sfide essenziali rispetto al modo in cui gestiamo la logistica, alle modalità con cui ci interfacciamo al cambiamento, questioni che si riflettono sulla qualità della vita in generale, ma in questo momento di crisi può essere disvelato in modo più chiaro, dandoci l’opportunità di riflettere sul modo in cui prendiamo le decisioni.

Per questo motivo ho deciso di scrivere un articolo con il dott. Emiliano Ceglie per capire quali siano i potenziali effetti collaterali di questa modalità di lavoro e riflettere su degli spunti per contenere i problemi. Approccio responsabile alla tecnologia e smart working spesso questo tema viene banalizzato e le informazioni fornite dai mass media sono imprecise e rischiano di creare confusione.

Lo smart working è infatti una modalità di lavoro ben precisa e regolamentata nella Legge n.81/2017 (qui un mio appello per introdurlo in cui spiego i vantaggi economici). In generale qui trattiamo il tema del lavoro a distanza riferendoci sia allo smart working sia al telelavoro, in quanto le normative di riferimento sono distinte, ma hanno dei punti di forte contatto, concettualmente.

Consapevolezza nella tecnologia

L’utilizzo della tecnologia deve infatti avvenire affinché si risolvano i problemi delle persone, senza mettere in pericolo coloro che utilizzano gli strumenti digitali e tecnologici. Un utilizzo consapevole da parte degli utenti permette di beneficiare qualitativamente di questi nuovi approcci, potendo migliorare la propria qualità della vita e del lavoro. Questo è un aspetto da sottolineare, infatti lo smart working non è solo “lavorare da casa”, ma è una filosofia aziendale che prevede l’adozione di comportamenti e modelli organizzativi smart che abilitino nuove logiche più legate a modelli circolari, in cui la responsabilità va a ricoprire un ruolo centrale nel contratto sociale tra lavoratore e azienda, fiondandoci in un change management che lavori primariamente sulla cultura aziendale e sul modo in cui vengono amministrate le risorse. Quali implicazioni su chi lavora? Partiamo dal presupposto che non esiste una ricetta per lo smart working. Pensare al lavoro da casa ci è più facile facendo la connessione “computer+internet”, ma la realtà dei fatti è un po’ più complessa.

Nuova concezione della leadership

Lo smart working è un modello, riferito ad una realtà organizzativa (Azienda, ONG, PA), che va a ripensare, preferibilmente in modo continuo nel tempo: leadership, strumenti e assetto (fisico e collaborativo) di un gruppo di lavoro. Il leader; Il condottiero; il capo; c’è qualcosa di profondamente errato in quanto appena scritto. L’articolo determinativo. Si evince una certa confusione tra ciò che è la leadership e le mansioni di maggiore responsabilità svolte dai manager, o dall’amministratore. La leadership è una qualità del gruppo di lavoro.

Un leader; un condottiero; un capo.

Significa che oltre ai ruoli formali costruiti attraverso i contratti di lavoro dell’organizzazione, si costruiscono all’interno di essa dei contratti sociali, diversi, legati alla natura più emotiva delle persone, al modo in cui queste socializzano e costruiscono le proprie relazioni. In questo ambito interviene la leadership trasformativa, ossia negoziata tra le persone in modo continuo. Qui si gioca sulla polarità tra potere (2003 – Analisi della Domanda, Cari ,R.; Paniccia, R.M) e il tanto nominato empowerment.

Il primo è una fantasia, il potere, derivante dalla poca competenza che abbiamo nel tollerare le frustrazioni, nello specifico la frustrazione di non essere in grado di modificare direttamente il nostro ambiente sulla scia di ciò che desideriamo. L’empowerment invece è un processo continuo, e continuamente mediato con gli altri, in cui ci si scambia responsabilità e ci si influenza a vicenda, senza controllo sull’altro, ma in modo sano. Dunque possiamo pensare ad una leadership, ossia una cultura della responsabilità, che favorisca l’empowerment, ossia la sensazione di contare qualcosa, non di fare numero, in tutti i lavoratori.

Ciò è possibile solo attraverso degli interventi di cambiamento culturale, mirati a rendere le componenti di un’organizzazione, le persone, partecipative. In questo modo l’organizzazione diventa non solo più reattiva, ma più smart, intelligente e responsabile, perché stiamo lavorando sulle connessioni all’interno dell’azienda, non sull’aumento delle dimensioni; come il cervello umano, che performa meglio quando ci sono più connessioni sinaptiche al suo interno. Passare a questa mentalità ci permette di migliorare la qualità della vita delle persone nell’organizzazione, aumentandone di conseguenza la creatività e l’innovazione, diventando terreno fertile per le idee necessarie a permanere, prima di tutto, e poi eccellere sul mercato.

Questo tema ci porta agli strumenti e all’assetto lavorativo utilizzati per facilitare le connessioni. Come gestiamo le informazioni? (1987 – Levine & Perkins). C’è qualcuno che ce le porta? Un buon sistema gestionale, che renda più dinamica e fluida la raccolta e lo scambio di informazioni può rendere non solo più produttiva l’azienda, ma aumentare il senso di sicurezza dei lavoratori, che hanno a disposizione in modo visivo ed autonomo le informazioni di cui hanno bisogno per lavorare, e permette al management di comprendere lo stato dell’organizzazione in qualsiasi momento, sciogliendo finalmente quel nodo alla gola che tutti coglie al momento della supervisione, dell’ispezione.

Ne deriva un riassetto di tutto lo spazio di lavoro, abbattendo barriere (anche fisicamente i muri di un ufficio) che ostacolano la comunicazione, alzandone di nuove per tutelare la salute dell’organizzazione, garantendo diritti e responsabilità.

Ripensare lo smart working

Fare smart working abbiamo capito che non significa lavorare a distanza, anzi, potrebbe significare lavorare a stretto contatto. Ma d’altro canto non significa nemmeno spendere decine di migliaia di euro in tecnologia, sistemi e spazi all’avanguardia. Mai come adesso less is MORE. Fare smart working significa prendersi cura di ciò che accade durante una grande parte della nostra vita, mettendoci nelle condizioni di ripensare ciò che facciamo, anche istintivamente, con intuito.

Ma come la migliore delle improvvisazioni jazz deriva dallo studio più completo ed approfondito della teoria musicale, così lavorare con intuito richiede di mettere in contatto emozione e ragione, il fare i conti con le emozioni, le paure, i desideri e la possibilità di definire gli scenari possibili.

Viviamo in un’epoca che richiede consapevolezza, perché il lavoro meccanico sta per essere definitivamente automatizzato, e l’alienazione non è più risorsa produttiva, ma fonte di stagnazione dell’impresa, che necessita di far fronte ai dettagli, alle particolarità che permettono ad una competizione sempre più fitta di coesistere nel mercato.