Se il mercato intorno a noi cambia, i consumatori sono sempre più consapevoli potenzialmente ed informati, deve cambiare anche il modo di organizzare le aziende stesse.

Le logiche della gestione dei clienti che abbiamo sviluppato devono essere riproposte nel modo di trattare i dipendenti o candidati in fase di valutazione e colloquio.

Un primo aspetto da capire secondo me è come siamo messi in questo Paese?

In Italia il numero di analfabeti funzionali è altissimo, capire se i propri dipendi lo siano è essenziale. Un primo punto di partenza fondamentale.

I dati e le informazioni sono palesemente il nuovo petrolio, capire dunque se i nostri dipendenti o noi stessi siamo in grado di leggere queste informazioni è molto rilevante. Siamo sicuri che sappiamo riconoscere una fake news? E i nostri dipendenti o collaboratori?

l’Ocse stimi che nel nostro Paese risiedano circa 13 milioni di analfabeti funzionali. ” (Sole24ore). In Italia siamo 60 Milioni, quindi è circa il 20%. Dubito che tutte le aziende ne siano immuni. Gli analfabeti funzionali possono anche avere una laurea e prescinde abbastanza l’aspetto anagrafico. Ci sono giovani, ma anche anziani con questo deficit.

Le fake news rendono parte degli italiani stupidi e più vulnerabili. Come già detto questo è un problema, perché “diversità culturale, digitalizzazione e mondializzazione, sono i principali motori dello sviluppo futuro non solo delle industrie culturali e creative ma anche delle società europee” (Formez qui).

Quanto siamo messi male in Italia? Molto. “Il 50% degli italiani ammette di avere creduto ad almeno una fake news nell’arco dell’ultimo anno. E addirittura il 13% confessa di aver “abboccato” a più di 5 notizie costruite ad arte”. (Doxa, qui).

Sicuramente ci saranno manager o persone in ruoli di rilievo che cadono in questa trappola. Linkedin lo sta facendo emergere con la diffusione di “fake news” avallate proprio da Manager e professionisti con tanto di consiglia e addirittura commenti deliranti. La psicologia ha dato anche un nome a questo fenomeno: effetto Dunning-Kruger.

“Individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in quel campo. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti” (approfondisci su focus). Più sei ignorante in un tema, meno sai di esserlo. Un rischio che nessun manager vorrebbe essere così o avere suoi dipendenti in queste condizioni.

Bisogna superare i bias cognitivi ossia un’informazione imparata in modo sbagliato. Come combattere questo problema? Formando e informandosi. La bussola devono essere i dati, affinchè ci siano opinioni basate sui dati che possano farci capire meglio il fenomeno o lo scenario in cui operiamo come lavoratori.

Un esempio lo riprendo dalla mia vita quotidiana.

Ero sul divano una Domenica e mio zio che è un medico generico, mi fa qualche settimana fa “Dario, ma sbaglio o sono aumentati gli incidenti e omicidi stradali” io gli rispondo “non lo so vediamo i dati…, no zio quando tu eri giovani negli anni 70 erano 11.000 all’anno, ora sono sotto i 4000, si sono più che dimezzati, sarà che i telegiornali stanno enfatizzando molto alcuni casi”.

In pratica abbiamo fatto scoppiare una bolla di una convinzione che era falsa o distorta.

Ogni persona vive in delle bolle, alcuni ci danneggiano altre meno. Non possiamo evitarle tutte, ma alcune gravi che coinvolgono il lavoro vanno superate. Capire dunque chi ha maggiore attitudine a questa tendenza è fondamentale per correggere dei problemi.

Questo significa che una persona positiva a questo test vada licenziata o “buttata a mare”?

No, questo lo penserebbe il vecchio manager padronale del 1900.

La persona va formata ed aiutata, perché conviene all’azienda! Perdere una persona già integrata, che conosce le persone e l’azienda, ha un know how sviluppato è pericoloso ed anti-economico. Potenzialmente il 50% della popolazione italiana è esposto a questo fenomeno.

La formazione e il confronto sono le soluzioni a questi problemi, in pratica affrontare il problema con una soluzione, invece di cercare una persona da colpevolizzare.

Bisogna inoltre accettare che tutti dobbiamo formarci e che non si smetterà mai di studiare, quindi se applicassimo questa logica dovremmo licenziare tutti e noi in primis.

Quel patto storico tra Stato e cittadini per cui “laureati e lavorerai” oggi è più che mai è un modello in crisi. La formazione è stata storicamente monopolizzata dalle Università e gli enti di ricerca tradizionali. Oggi il mondo è evoluto e la formazione ha cambiato caratteristiche. Oggi si parla di modelli di vita in cui le persone si formeranno e studieranno ciclicamente e costantemente nella propria personale e professionale. I modi in cui si formano sono sempre più legati ai settori digitali tramite l’e-learning e la presenza di formazione accademica ed aziendale di primissimo livello erogabile in remoto, più flessibile ed interattiva, ma molto meno costosa (se non gratuita in certi casi).

Il rischio per chi non aderisce ai nuovi modelli è quello del fallimento professionale e l’esposizione all’isolamento sociale. Se oggi non hai uno smartphone non sei potenzialmente nei flussi del Sapere che riguardi la tua squadra di Calcio, il gossip sui reali inglesi o anche la formazione tecnica per svolgere il tuo lavoro in maniera nuova e migliore.

Il termine tecnico è Long life learning è traducibile con “apprendimento permanenente” o ancora meglio con la frase di Eduardo de Filippo “gli esami non finiscono mai”.

Questo è un problema? No, anzi è un vantaggio, perché bisogna essere onesti con noi stessi, la ripetizione ossessiva sempre delle stesse attività fisiche o mentali porta ad essere demotivati o infelici. Questa visione del lavoro non ha più senso, perché se il mercato evolve e tu non ti aggiorni rischi di uscire proprio dal mercato del lavoro.

C’è un lato positivo? Si. Studiare ci tiene allenati e stimolati a fare cose diverse o in diverso modo. Come abbiamo detto, l’età non è un fattore discriminante nelle capacità di imparare.

L’idea angosciante di lavorare 30 anni nella stessa azienda, facendo le stesse cose e senza prospettive di innovazione, crescita, diversificazione dei compiti assegnati è morta!

Cambieremo aziende sempre più velocemente e sempre più spesso. Questo accade perché le persone scelgono le aziende esattamente come le aziende selezionano le persone e sono in organico che possono andar via.